Ho abbandonato Alberto Moravia da ragazzo; credo di non aver letto più niente da almeno trenta anni. E così vado in mansarda e tra i libri di papà trovo questo piccolo testo teatrale, il Dio Kurt. La tragedia è ambientata in un campo di concentramento tedesco dove il comandante, Kurt, decide di procedere ad un esperimento culturale: proporre la rappresentazione della tragedia di Eschilo con attori chiamati ad interpretare veramente il ruolo. Il prescelto è Saul, un deportato ebreo, nella precedente vita un attore che già aveva interpretato Eschilo. Ma questa volta il regista è Kurt che rappresenta la tragedia quando tutto è già avvenuto, perfezionato, realizzato. Saul ha ucciso, inconsapevolmente, il padre e si è accoppiato con la madre. Il dramma è avvenuto e Kurt, che rappresenta il fato, un deus ex machina non previsto da Eschilo, ne detta solo i tempi. La tragedia è il modo per Kurt di dimostrare la superiorità della razza ariana attraverso il superamento dei pregiudizi derivati dalla famiglia, dalla contaminazione delle razze inferiori succedute alla razza originaria. Saul è un oggetto, perché non ha volontà, e deve soggiacere alle volontà del Dio Kurt. Semplicemente un capolavoro. ( )