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Værker af Andrea Vollman

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Fødselsdato
1957-03-09
Køn
male
Nationalitet
Italia
Land (til kort)
Italia
Fødested
Padova, Italia

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Arruolato – è proprio il caso di dirlo - come co-autore l’esperto di storia aeronautica Luigino Caliaro che già aveva collaborato al precedente volume dedicato ai cugini d’oltralpe, il dinamico duo Brazzale/Vollman procede con la ricerca sul contributo fornito dagli eserciti alleati in Italia durante la Grande Guerra. In attesa di volgersi al nemico (o magari ai marziani), in questa occasione è stato necessario ampliare l’orizzonte: l’attenzione non è più concentrata sul solo altopiano di Asiago e l’intervento statunitense viene analizzato in tutta la Penisola, parlando sì molto di Veneto, ma spingendosi anche fino a Foggia. Dopo un’introduzione che fissa il momento storico che portò all’entrata nel conflitto dell’esercito a stelle e strisce, il libro si compone di tre sezioni ben distinte. La prima riguarda il capitolo ‘assistenza’ e si articola in due temi principali: il ruolo delle ambulanze nelle zone di combattimento attraverso le missioni di Croce Rossa e American Field Service, con il racconto degli azzardi per salvare i feriti malgrado i mezzi primitivi e le strade pericolose alternati ai momenti di relax in contatto con la popolazione locale, mentre sullo sfondo si stagliano le figure di Hemingway e Dos Passos; il supporto dato ai combattenti in linea, con le cucine mobili, e nelle retrovie, con quelle ‘Case del soldato’ in cui le due culture iniziarono a mischiarsi. La seconda parte si concentra invece sulla nascente aviazione del potente alleato, in special modo quella legata alla Marina: in molte fasi coordinati da un decisionista Fiorello La Guardia, i giovani cadetti d’oltreoceano imparano il mestiere sui campi di volo italici e, a bordo soprattutto degli apparecchi dell’ingegner Caproni (impossibile non ricordare l’omaggio di Miyazaki in ‘Si alza il vento’), vanno in zona d’operazioni nel corso del 1918 distinguendosi per le incursioni su Pola e dintorni dopo aver (a volte perigliosamente) attraversato l’Adriatico. In queste pagine il taglio è molto più tecnico, da manuale di storia militare, ma non mancano le testimonianze assai positive dei giovanotti riguardo i contatti con la popolazione civile: un'impostazione non dissimile a quella del terzo segmento che parla ancora di Marina, ma questa volta trattando di navi vere e proprie descritte nell’attiva collaborazione data al mantenimento del blocco del Canale d’Otranto con il quale venne reso difficoltoso il passaggio dei sottomarini austriaci e tedeschi da e per i porti sulla costa dalmata. Infine, un ultimo capitolo si dedica a suggerire come il contatto con il ‘mondo nuovo’ avesse già inoculato negli italiani i primi germi di ciò che dopo il secondo conflitto mondiale si trasformera in una vera e propria colonizzazione culturale: la passione per il jazz e la gomma americana nacque ben prima dell’arrivo delle truppe del generale Clark. Come di consueto il libro è ricco di informazioni e spunti aneddotici – benché sarebbe stato meglio lavorare un po’ di lima sullo scritto – ma conquista in virtù della sua vastissima documentazione iconografica che sciorina una serie di scatti e numerosi documenti, recuperati negli archivi alleati come in quelli di casa nostra, attraverso i quali è facile per il lettore immedesimarsi in una realtà dalla quale ci separa ormai un secolo.… (mere)
 
Markeret
catcarlo | Feb 9, 2018 |
Dopo il buon riscontro ottenuto dalla puntata precedente sui britannici, il dinamico duo Vollman-Brazzale passa ad analizzare il contributo dei cugini d’Oltralpe sul fronte italiano e in special modo sull’Altopiano di Asiago superando i difetti del primo volume (a parte la mancanza di una cartina per i non autoctoni e qualche sigla militare di troppo senza glossario), ma dovendo al contempo affrontare una quantità di materiale neppure paragonabile a quella che è stata possibile recuperare per gli allora sudditi di re Giorgio V. La mancanza di una diffusa memorialistica ha costretto gli autori a basarsi sul diario di alcuni ufficiali e, soprattutto, sul libro di Louis Lefebvre costruito attorno alla figura di un generico Poulot (il termine francese che indica il soldato generico) in cui l'autore ha riversato i propri ricordi di umile fante. Quale che sia la fonte, dal punto di vista del combattente la morale è sempre la stessa: benché nessuno si rifiuti di fare il proprio dovere, la guerra resta un inutile, infinito massacro in cui a soccombere sono sempre gli stessi. I morti ammazzati si contano ancora una volta a centinaia e i momenti di retrovia o comunque di relativa calma servono per tirare il fiato: come nel libro precdente, c’è dapprima il sollievo dei soldati per venire tolti dal fango del fronte occidentale e poi la curiosità e lo stupore per un Paese del tutto nuovo - molti di loro erano contadini che mai avevano abbandonato il proprio paesello. La mancanza di testimonianze dirette fa parere i francesi più prevenuti nei confronti degli italiani (come da tradizione, verrebbe da dire) sia per quanto riguarda i costumi sia per quanto riguarda l’alimentazione – il che permette però di scoprire che il rancio delle nostre truppe era veramente pessimo al confronto di quello transalpino: l’impressione è così che si fraternizzasse di meno, ma una certa familiarità fra i fanti e la popolazione pure ci fu, viste le preoccupazioni del parroco di Salcedo sul comportamento delle ragazze del paese… Quello del religioso è uno dei molti tasselli assemblati dagli autori per ovviare al problema descritto sopra: così, dopo Poulot e un’attenta ricostruzione di numerose fra le belle gesta compiute dai francesi in combattimento sia sull’Altopiano, sia nella controffensiva del Piave, si susseguono una serie di capitoli che riguardano aspetti diversi della presenza transalpina, alcuni affidati a collaboratori esterni, come quello sull’aviazione a cura di Luigino Caliaro Il segmento che colpisce di più, specie in questi tempi di immigrazione e di confronto fra culture, è lo spazio dedicato alle truppe coloniali, ovvero i magrebini e gli africani che combatterono come soldati della Terza Repubblica e ci appaiono ritratti in fotografia nei luoghi in cui, al giorno d’oggi, qualche loro nipote è guardato con sospetto. L’apparato iconografico è, del resto, uno dei punti di forza dell’opera grazie a una serie di immagini - forse ancor più numerose e incisive rispetto al primo lavoro - che consentono al lettore di immedesimarsi ancor di più con la tragedia di cui sta leggendo: tragedia sì perché, malgrado qualche momento in cui sorridere, di questo si tratta e, se non bastassero a ricordarlo i numeri di morti e feriti dopo ogni scontro a fuoco oppure il silenzio dei cimiteri sotto la neve, ecco le desolate parole di Charles Pèguy, caduto al fronte, che chiudono come meglio non si potrebbe il volume.… (mere)
 
Markeret
catcarlo | Sep 12, 2015 |
Nel diluvio di pubblicazioni uscite per il centenario, finirà per risultare ancor più invisibile questo piccolo libro che – scritto da appassionati e pubblicato da una minuscola casa editrice – guarda alla prima guerra mondiale da una prospettiva diversa e tutta femminile. Sono due donne, infatti, le protagoniste che si spartiscono queste pagine: gli autori hanno ricostruito la loro esperienza bellica basandola sui documenti storici e dando al racconto un tono di addolorata partecipazione che non lascia indifferenti. L’italo-inglese Freya Stark opera come crocerossina sul fronte friulano, curando i feriti che arrivano a ondate specie quando sono lanciate le numerose, insensate offensive: i giorni passati a curare menomazioni dolorose anche per chi le assiste sono temperati da sporadiche uscite a contatto con la natura o nelle località vicine. Quando arriva Caporetto, tutto crolla rovinosamente e Freya, assieme al personale dell’ospedale, è costretta ad affrontare la ritirata con una piccola epopea sotto la pioggia percorsa per buona parte a piedi in mezzo al fango. Gli orrori della guerra e le poche parentesi per rifiatare sono raccontate seguendo il filo narrativo del diario della protagonista, in seguito divenuta famosa come esploratrice soprattutto in Medio Oriente. Se, alla fine della ritirata, Freya ritrova vivi coloro che hanno condiviso con lei l’esperienza della guerra, più crudele si rivela il destino di Vera Brittain, alla quale il conflitto porta via il fidanzato (quasi subito, per mano di un cecchino sul fronte occidentale), alcuni amici e, infine, il fratello a cui è legatissima (sull’Altopiano di Asiago a nemmeno cinque mesi dall’armistizio): in un piccolo microcosmo si vede così riflesso l’effetto di una tragedia che ha davvero spazzato via una generazione d’europei. Nella più breve parte a lei dedicata, la futura pacifista è immaginata alcuni anni dopo la fine dei combattimenti, quando è in bilico tra il farsi sopraffare dal ricordo delle tragedie e il trovare in se stessa la forza di superarle. I ricordi del passato, basati sull’epistolario, vengono raccontati in una serie di flashback che rievocano i vecchi sentimenti che i lutti hanno troncato, mentre l’apertura di credito verso il futuro arriva con la decisione, supportata dall’amica Winifred Holtby, di visitare la tomba del fratello a Granezza. In tutto il libro si spande un tono di profonda tristezza, anche se gli autori riescono con delicatezza a evitare la trappola del piagnisteo (‘keep a stiff upper lip’, visto che di inglesi parliamo): tono a cui contribuiscono anche le numerose fotografie che ci restituiscono la giovanissima età di tutti i protagonisti (che avrebbero fatto volentieri a meno di essere tali).… (mere)
 
Markeret
catcarlo | Oct 8, 2014 |
A un anno di distanza dal veloce libretto di cui ho parlato a suo tempo (http://sonicreducer.tempiduri.org/?p=760) il buon Brazzale, questa volta in coppia con il padovano trapiantato Vollman, approfondisce la presenza dei militari britannici schierati nelle sue terre natali – ai piedi dell’estremità meridionale dell’altopiano di Asiago - a supporto dell’alleato italiano dopo la rotta di Caporetto: questa volta, però, il conflitto è ben più protagonista con il suo carico di atrocità. Il risultato sono poco più di centocinquanta pagine riccamente illustrate – le numerosissime fotografie contribuiscono non poco alla ricostruzione dell’ambiente e del momento storico – basate su un’accurata documentazione che consente di illustrare con dovizia di particolari gli aspetti ‘tecnici’ dell’acquartieramento delle truppe di Sua Maestà e dei combattimenti che le hanno viste protagoniste, ma che hanno forse il loro punto di maggior interesse nelle parole di chi ebbe la fortuna di tornare a casa. Non tanto quelle del critico Emilio Cecchi quanto i diari di figure altrimenti sconosciute, come il fuciliere Gladden (il più dotato nella scrittura) e il tenente colonnelo Barnett: sia i soldati semplici, sia gli ufficiali narrano prima il piacere di arrivare in Italia dopo il fango delle Fiandre, poi il lungo stallo dell’ultimo inverno di guerra in cui si sviluppa l’ottimo rapporto con le popolazioni locali, infine il feroce combattimento passato alla storia come ‘Battaglia del Solstizio’. Quest’ultimo fu uno dei tanti massacri inutili della Grande Guerra, in cui gli austriaci attaccarono e italiani e inglesi resistettero, con il risultato che dopo due giorni di ammazzamenti che aprirono altri vuoti nelle file della ‘generazione perduta’, tutti restarono sulle proprie posizioni. Per fortuna, allora, che a sollevare l’animo incupito del lettore arrivano gli episodi – ora buffi, ora tragicomici – di retrovia: certo che i soldati britannici dovevano essere davvero dei forti bevitori per riuscire a stupire dei veneti! Ritornano, opportunamente ampliati, anche i capitoli dedicati al Principe di Galles – il viziatissimo futuro Edoardo VIII, sospetto padre di qualche cugino vicentino della regina Elisabetta – e alla pacifista Vera Brittain a completare un quadro che non poteva non concludersi con le pagine dedicate ai cimiteri che, qua e là sull’altopiano, allineano lunghe file di tombe bianche a ricordo dei tanti ventenni caduti così lontano da casa. Restano allora da fare solo un paio di critiche: una o due cartine per inquadrare i posti sarebbero state opportune per evitare spaesamenti ai non indigeni (e per fortuna che, uno, almeno una volta ci sono stato e, due, vengono un po’ in soccorso le piccole mappe delle ferrovie a scartamento ridotto); l’italiano traballa di tanto in tanto e, comunque, più di quel che si vorrebbe – se c’è bisogno di un correttore di bozze, son qua!.… (mere)
 
Markeret
catcarlo | Oct 8, 2014 |

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