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Om forfatteren

Includes the name: Claudine Vegh

Værker af Claudine Vegh

Satte nøgleord på

Almen Viden

Fødselsdato
1934
Køn
female
Nationalitet
France
Fødested
Paris, France
Bopæl
Paris, France
Uddannelse
Lycée Hélène Boucher, Paris
Erhverv
psychiatrist
child psychiatrist
Holocaust survivor
biographer
Kort biografi
Claudine Vegh, née Rozengard, was born to a Jewish family in Paris, France. Her father was originally from Poland and her mother from the Ukraine. In 1939, on the brink of World War II, the family fled Paris and took refuge in Saint Girons, in southwestern France near the Pyrenees. Her parents had to flee the area in 1941, leaving Claudine behind with their neighbors. Her father died while in hiding near Grenoble. In 1945, Claudine returned to Paris to live with her mother. She attended the Lycée Hélène Boucher and graduated from medical school, becoming a child psychiatrist. A hidden child herself, she conducted one of the earliest studies of a group known in France as "les enfants de déportés" ("children of the deported"). It was published in 1979 as Je ne lui ai pas dit au revoir (I Didn't Say Goodbye: Interviews with Children of the Holocaust).

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«Se avessi potuto dimenticare totalmente il passato, forse avrei potuto vivere come gli altri, essere felice di ciò che ho, e non pensare a ciò che non ho più. Non ho fotografie dei miei genitori, non ho la loro ultima lettera; non ho tomba dove raccogliermi. Un solo documento "Scomparsi... Auschwitz 1943"». Così si esprime uno di coloro che hanno accettato di incontrarsi con Claudine Vegh. Sono tutti orfani ebrei i cui genitori sono morti nei campi di sterminio. Trentacinque anni dopo acconsentono a parlarne. A quell'epoca avevano fra i cinque e i tredici anni; ancora oggi hanno l'impressione di vivere «per caso». La stella gialla, la separazione brutale, i nascondigli, la mutilazione della loro identità, la lotta per la sopravvivenza, il contatto con ambienti sconosciuti, ostili o protettivi, i sentimenti ambivalenti verso gli scomparsi e, soprattutto, la speranza insensata di vederli tornare, nonché‚ il tentativo, in seguito, di tagliare ogni legame con questo passato e di reinserirsi nella società ecco ciò che svelano questi colloqui, ecco ciò che è rimasto nascosto nella vita di questi figli di deportati, per i quali, come dice Bruno Bettelheim nella postfazione, il lutto si è rivelato impossibile. E trentacinque anni dopo è sempre il solito lamento: «Non gli ho detto arrivederci». (fonte: retro di copertina)… (mere)
 
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MemorialeSardoShoah | Nov 8, 2022 |

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